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Sfalci e potature: come trasformarle in biocombustibile

Come utilizzare sfalci e potature che altrimenti andrebbero scartate come biocombustibile

Per chi possiede un’attività agricola, sono numerose le biomasse accumulate nel corso di un anno che possono essere valorizzate utilizzandole come biocombustibili. Questo va ad incentivare una produzione di energia sostenibile e un’economia circolare, ma soprattutto dona un biocombustibile a costo 0 derivante da materiale vegetale e/o animale che andrebbe altrimenti perso. In particolare, sfalci e potature, considerato il loro volume di produzione indiretta derivante dalle lavorazioni agricole, rappresentano una perfetta alternativa ai combustibili fossili, sia per il costo che per la rinnovabilità delle risorse impiegate.

In questo articolo parliamo di:

  1. Come trasformare le potature in biocombustibili?
  2. Quali sono le macchine adatte alla macinatura?
  3. Quanto conviene all’agricoltore?

Come trasformare le potature in biocombustibili

Le aziende agricole, gli agriturismi e in generale tutte le abitazioni/strutture nelle zone rurali, hanno a disposizione grandi quantità di biomasse, le quali spesso restano inutilizzate. Nella lavorazione specifica di determinata colture, vengono prodotte grandi quantità di biomateriale che fino ad oggi, solitamente, è stato scartato e/o bruciato. Grazie ai nuovi impianti a biomasse è possibile utilizzare tutto questo materiale naturale come biocombustibile per l’alimentazione di caldaie, stufe, bruciatori e generatori di aria calda.

Una volta effettuata la potatura, si passerà alla raccolta del biomateriale, per poi procedere alla macinatura e successiva stagionatura dello stesso. Quando sarà pronto, bisognerà calibrare il proprio impianto a biomasse per la qualità, le dimensioni e le caratteristiche del biomateriale ottenuto e, infine, caricare il serbatoio dell’impianto, magari prevedendo uno stoccaggio ad hoc in base alla tipologia di biomateriale, che potrà essere sotto forma di agripellet o di scaglie più o meno grandi.

Quali sono le macchine adatte alla macinatura?

In tutto questo processo, la fase fondamentale è certamente quella della macinatura e successiva stagionatura del biomateriale, che gli permetterà di raggiungere un potere calorifico e livelli di umidità/ceneri consoni alla produzione di calore. Per la macinatura, è possibile utilizzare tre macchinari fondamentali:  la pellettatrice, la trinciaraccoglitrice o una cippatrice.

Per il primo metodo, una volta ottenute le potature, bisognerà ridimensionarle ulteriormente in piccoli pezzi adatti ad un processo di lavorazione all’interno di una pellettatrice, ossia una macchine che produce pellets del biomateriale ricavato dalla potatura. Questa modalità permette di ottenere un prodotto comodamente utilizzabile considerate le sue dimensioni, definito come “agripellet”.

Nel secondo metodo, si potano le colture in modo da lasciare a terra in modo più lineare possibile il frascame di risulta, togliendo i pezzi superiori a 8/10 centimetri di diametro. Quando è stata effettuata tutta, o buona parte della potatura, si raccoglie e si macina contemporaneamente il materiale utilizzando questa macchina chiamata trinciaraccoglitrice. La macchina è azionata dal trattore che scarica il materiale su di un carro posto in prossimità. In seguito, il tutto viene portato in un punto di raccolta. Trascorso un tempo di minimo 2 settimane, si movimenta il materiale per non farlo fermentare approfittando eventualmente per vagliarlo o calibrarlo tramite un raffinatore a motore o a trattore.

Il terzo metodo, invece, prevede di procedere manualmente con una cippatrice. Una volta effettuata la potatura, infatti, si può macinare manualmente sul posto il biomateriale tramite una cippatrice attaccata al trattore con scarico in un pianale vicino. Oppure, si può concentrare il biomateriale e cipparlo in tempi successivi manualmente o con cippatore dotato di gru, per poi stoccarlo ed usarlo all’occorrenza. Se i tempi delle lavorazioni sono molto ravvicinati e il materiale è ancora fresco, può tendere a fermentare; dunque, è consigliabile almeno una volta movimentarlo a distanza di qualche settimana con una pala meccanica o manualmente. Una volta pronto, il biomateriale può essere deposto ed usato all’occorrenza per un’apposita caldaia, un bruciatore o un generatore di aria calda a biomasse.

Quanto conviene all’agricoltore?

Questo processo è particolarmente conveniente per l’agricoltore e l’abitante della zona rurale, poiché sfrutta a costo quasi 0 ciò che la natura gli offre localmente. Questo è il modo più concreto di concepire la sostenibilità energetica nel futuro: sfruttando le risorse che il pianeta spontaneamente ci offre, senza alterarlo e soprattutto affrontabili a livello di costi economici. Tuttavia,  bisogna considerare che a differenza del pellet di legna certificato in classe en plus a1, l’agripellet ha un contenuto di ceneri molto più alto, ha una capacità legante del materiale inferiore alla biomassa puramente legnosa (la quale contiene lignina) e può impegnare gli impianti di riscaldamento/cottura in processi di combustione sicuramente più onerosi in termini di durata della macchina rispetto al legno. Eppure, i vantaggi derivanti dal suo utilizzo, come reperibilità e costo nullo, considerata anche la situazione a livello globale dei combustibili, saranno sempre più decisivi.

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